Clinica dell’infanzia

L’incontro con i genitori

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La clinica dell’infanzia trova il suo principio nelle consultazioni riservate ai genitori che si accorgono, non senza una certa preoccupazione, dell’insorgere di importanti manifestazioni di disagio che interessano loro figlio. Trovandosi nell’impossibilità di rassicurare il bambino attraverso le sole persuasioni amorevoli o constatando che la condotta disagevole resiste alle loro pazienti pratiche educative, decidono di rivolgersi ad un terapeuta.

In occasione dei primi colloqui di consultazione i genitori vengono ricevuti in un luogo di ascolto, innanzitutto dedicato a loro. Prima di ricevere il bambino, è importante che i genitori trovino le condizioni di campo che consenta a loro di mettere in parole il loro sapere intorno al figlio e al contesto di vita familiare.

I colloqui dedicati ai genitori diventano un momento fondamentale che introduce la possibilità di una cura.

In un primo momento, l’ascolto dei genitori è finalizzato ad attenuare il loro disagio che si accompagna alle immanenti tensioni emotive in gioco nell’intimità delle relazioni. Solo rinnovando la fiducia nella loro parola, i genitori possono essere chiamati a costruire una narrazione soggettiva che consenta di rivelare qualcosa del posto che il bambino occupa nell’economia sintomatica che insiste a circolare nel legame familiare.

L’ascolto della parola dei genitori, un ascolto libero dall’ingombro di suggerimenti ingenui o motivi che possano suscitare colpevolizzazioni semplicistiche, si accompagna alla rievocazione dell’importanza delle loro specifiche funzioni, introducendo la possibilità di uno spazio di soggettivazione dedicato al bambino. 

Spesso, già a seguito dei primi colloqui, la diminuzione della angoscia fluttuante vissuta dai genitori correlata al loro senso di impotenza determina una prima significativa attenuazione dell’insistenza e della pervasività del sintomo nel discorso familiare

Le contingenze d’esordio del disturbo

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Il sintomo fa la sua comparsa in corrispondenza di particolari contingenze critiche della vita del bambino. Il discorso che i genitori elaborano durante le consultazioni preliminari può facilmente definire la cornice esistenziale all’interno della quale si colloca l’esordio del disturbo da loro osservato. Dalle narrazioni dei familiari è possibile reperire l’evento critico correlativo della comparsa dello stato di disagio che però non deve non deve essere confuso con le cause soggettive che alimentano la posizione sintomatica del bambino.

Ad esempio, la condotta sintomatica del bambino può aver fatto il suo esordio successivamente all’introduzione di specifiche limitazioni che si accompagnano alla progressione delle richieste educative (svezzamento, educazione sfinterica…), oppure il disagio può essersi manifestato contestualmente alle prime esperienze di separazione dalla madre e dall’ambiente familiare in riferimento alle quali il bambino è chiamato a rispondere alle richieste sociali (come l’inserimento all’asilo nido o alla scuola primaria),  oppure ancora il bambino può manifestare una particolare sensibilità al turbamento emotivo di un genitore che attraversa un evento di perdita irreversibile, o accusare le difficoltà della coppia genitoriale, o vivere in modo conflittuale il concepimento di un fratello o di una sorella, ed altro ancora.

Ricevere il bambino nel luogo della cura

Nella prospettiva di rendere operativi quei presupposti etici che favoriscono la fiducia del bambino nella propria parola messa in gioco nella relazione di cura, è molto importante che il terapeuta non ingombri eccessivamente lo spazio degli incontri assumendo una posizione di presunzione di sapere di tipo “psicologista” o addirittura interpretando impropriamente il ruolo del pedagogista. Accogliere nel luogo della cura un bambino e il suo disagio non significa sottoporlo ad un esame valutativo. La cura del bambino non comporta la messa in atto metodiche di rettifica delle condotte sintomatiche attraverso condizionamenti normalizzanti o insistendo con raccomandazioni suggestive.

L’ascolto orientato dalla psicoanalisi si ripropone come un atto di convalida del soggetto alla parola, favorendo l’espressione delle tracce di quelle verità perturbanti che fissano il bambino in una posizione sintomatica. 

Le verità soggettive si rivelano in quelle formazioni linguistiche che in età evolutiva trovano mediazione anche in una varietà di espressioni ludico-creative, mantenendo la tensione vitale della relazione terapeutica.

Il proseguimento del lavoro con i genitori

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La specificità della condizione di assoggettamento ad un sintomo particolare, correlativamente al posto che il bambino occupa nel desiderio della madre e del padre e nella storia familiare, determinano l’unicità di ciascun percorso terapeutico che, successivamente ai colloqui preliminari con i genitori, potrà declinarsi secondo diverse modalità e tempistiche. 

I genitori non vengono mai esclusi dalla cura del bambino; è necessario il loro coinvolgimento partecipe e responsabile, considerando anche che hanno il diritto di sapere.