Disturbi alimentari in età infantile
Il processo di soggettivazione che il bambino intraprende fin dal principio del suo essere al mondo comporta una continua interrogazione del desiderio materno. Oltre a sostenere i bisogni dell’organismo, l’atto del riceve in dono il nutrimento assume per il bambino la referenza simbolica della vita in gioco nella dialettica relazionale che fonda il legame con il proprio accudente, nonché primo interlocutore privilegiato che lo introduce al mondo umanizzato dal linguaggio.
A partire dalla condizione di essere sia naturalmente che culturalmente oggetto delle cure della madre, la vita psichica del bambino trova riscontro del posto particolare che lui occupa nel desiderio di lei.
I disturbi alimentari interessano quadri clinici già strutturati in modo sindromico, persistenti nel tempo, che si manifestano nelle forme di condotte alimentari caratterizzate da eccessi incontrollati nella richiesta e nell’assunzione di cibo o, all’opposto, da restrizioni.
La richiesta eccessiva di cibo trasferisce la domanda del bambino di essere continuamente riconosciuto nel rapporto speculare con la madre, trovando soddisfazione nella dipendenza dalle sue cure esclusive. Andando ben al di là delle esigenze di nutrizione, l’invocazione fuori controllo del bambino che esige nutrimento può rappresentare un motivo di soddisfazione compensatoria, quando la sua domanda d’amore subisce un turbamento negli intendimenti.
All’opposto, l’oggetto cibo può anche trasformarsi in un ingombro eccessivo che il bambino tende a rifiutare. Respingendo dono materno, il bambino rifiuta di alienarsi alle cure esercitando un’istanza di separazione, con effetti di grave perturbazione nella dialettica del rapporto di accudimento.
Nei disturbi alimentari restrittivi che insorgono in età evolutiva si riscontra il dato oggettivo del non aumento di peso, la eventuale condizione di disidratazione del bambino o addirittura, nei casi più preoccupanti, un progressivo calo ponderale; possono accompagnarsi a disturbi dell’attaccamento nella relazione madre-bambino e associarsi all’insorgere di condotte regressive enuretiche, disturbi del sonno persistenti ma non necessariamente costanti nel tempo, sintomi fobici (timore di soffocare durante la deglutizione), condotte ossessivo-compulsive (rigidi rituali) o disturbi dell’umore (tristezza, indolenza, irritabilità…). La reale minaccia di un danno alla salute dell’organismo si accompagna a vissuti angoscianti che rendono difficile per i genitori accogliere l’appello del lavoro sintomatico che il bambino inconsapevolmente mette in atto, implicando ciascun interprete della relazione di cura perturbata.
Le condotte anoressiche e l’attitudine all’iperalimentazione incontrollata sono la messa in scena di una pericolosa solitudine del bambino che “fa da solo”, “mangiando nulla” o all’opposto “mangiando tutto”. Questo lavorio sintomatico permette al bambino di tenere in pugno i suoi genitori, preoccupandoli e rendendoli impotenti rispetto al suo radicale rifiuto o all’eccesso sregolato. Il contesto familiare diventa teatro di lotte, bracci di forza, soprattutto durante gli orari dei pasti.
Comunque, i disturbi dell’alimentazione infantile impongono ai genitori lo sguardo sul bambino. Pur nella loro diversità, anoressia e sovralimentazione hanno la peculiarità di essere patologie dello sguardo, catturano lo sguardo dei genitori: sono patologie che si impongono alla vista.
Non è possibile, ovviamente soprattutto per i genitori, sfuggire all’angoscia suscitata dal guardare il corpo che non prende peso, dimagrito o gonfiato del figlio.
La disponibilità a mangiare dunque non ha davvero solo a che fare con l’appetito, la fame, con ciò che c’è nel piatto, ma si articola strettamente con il piano delle emozioni, degli affetti, dalla qualità del rapporto con gli altri, con sé stessi e con il mondo.