Inibizione sociale
Il bambino è piuttosto timoroso e mostra sistematicamente una profonda insicurezza in ogni occasione che lo espone in prima persona al cospetto dell’Altro sociale. Senza l’appoggio del genitore, raramente prende parola spontaneamente, limitando la propria espressività, evitando di esporsi soggettivamente.
Nell’ambiente scolastico, il bambino è fondamentalmente riservato, non interviene criticamente nelle lezioni, non pone domande, limita le istanze creative e non esprime le proprie opinioni. L’inibizione ad apprendere interrompe la curiosità di sapere assumendo forme piuttosto diverse: da un lato può mostrarsi come mancanza d’interesse e di iniziativa fino all’incapacità di studiare se non in presenza di un obbligo, dall’altro il bambino assume condotte non spontanee, iperadattate, in assenza di quella vivacità espressiva caratteristica dell’età infantile.
Nella vita di relazione difficilmente il bambino cerca il contatto con i pari, frequentando solo con molta discrezione un ristretto numero di compagni, ma senza partecipare ad un legame di amicizia sentita.
A casa si dedica prevalentemente ad attività solitarie.
Il prolungarsi nel tempo di questo atteggiamento di eccessiva riservatezza del bambino può accompagnarsi a intensi vissuti di turbamento fino ad esitare in condotte fobiche che limitano la vita sociale. Il bambino è in grave difficoltà quando a scuola incontra situazioni performanti (interrogazioni, lavori in gruppo, attività sportive competitive…) e manifesta motivi di forte ansietà, sviluppando comportamenti di evitamento per quelle situazioni sociali che diventano fonte di intensa paura, dal momento che si sente chiamato ad esporsi in prima persona, in assenza di un partner che lo supporti.
Mostrandosi così eccessivamente sensibile il bambino può subire forme di emarginazione da parte di compagni particolarmente intraprendenti. I genitori riconoscono che il bambino è silenziosamente adattato, passivo e che ha una scarsa fiducia nelle proprie capacità di stringere amicizie e di interagire con i coetanei.
Assumendo una posizione di debilità nel rapporto con il sapere il bambino istituisce un rapporto ingenuamente infantile con il mondo, trovandosi spesso nella condizione di “non saperci fare” con la complessità dei legami sociali.
Perché, nonostante le rassicurazioni dei genitori quel bambino non riesce ad affermarsi in modo propositivo, vivendo il piacere delle relazioni con i coetanei? Quale raffigurazione del mondo, o quale complesso di rappresentazioni inibisce l’espressività di quel bambino nel rapporto con la propria parola e con i propri atti espressivi?